padrelaggioni.jpgPadre Giorgio Laggioni, vicerettore della Basilica di Sant'Antonio a Padova e Vicepostulatore per le cause dei Santi della nostra Provincia religiosa, ha offerto la seguente relazione durante la veglia di preghiera alla presenza delle reliquie di San Leopoldo Mandić, tenutasi la sera del 16 febbraio alla Basilica del Santo. Il corpo di San Leopoldo, insieme a quello di San Pio da Pietrelcina, è stato portato a Roma per l'inizio della Quaresima dell'Anno del Giubileo della Misericordia. I due santi cappuccini, indefessi confessor, sono compatroni di questo particolare evento giubilare. Prima di rietrare al suo convento di Santa Croce, le spoglie del padre Leopoldo hanno fatto sosta per un paio di giorni nella nostra Chiesa, proprio di fronte al santo confratello Antonio, di cui il piccolo cappuccino era tanto devoto.


San Leopoldo Mandić e i suoi legami con la basilica e i frati del Santo
 

La storia plurisecolare della basilica di sant’Antonio ci ha trasmesso la memoria di decine e decine (oltre un centinaio), tra santi e beati, che l’hanno visitata. L’elenco di questi illustri pellegrini deve essere continuamente aggiornato, man mano che la Chiesa li eleva agli onori degli altari, a sottolineare il fascino che sant’Antonio (1195-1231) ha sempre esercitato particolarmente sulle anime elette, in ogni epoca. San Leopoldo (1866-1942) occupa un posto di rilievo in questo elenco, non solo per le innumerevoli visite da lui compiute alla tomba del Santo – e già questo è un dato unico ed eccezionale – ma anche per le singolari convergenze e affinità con la vita di sant’Antonio: due mirabili frutti del rigoglioso albero francescano donati a questa città, entrambi provenienti da altrove, da fuori: Antonio dall’estremo lembo occidentale dell’Europa, Leopoldo dalla «sponda levantina dell’Adriatico»[1] ; tutti e due con un “sogno”, un progetto, da realizzare: la missione tra gli infedeli e il desiderio del martirio per Antonio da Lisbona; l’apostolato per l’unità dei cristiani, nelle terre a lui care, per Leopoldo da Castelnuovo. Ma l’obbedienza, attraverso la quale si manifesta la Provvidenza divina, li porta qui da noi, ad essere ministri della Parola e della Misericordia del Padre.

Sant’Antonio e san Leopoldo, giunti a Padova, predicano e confessano. Anche padre Leopoldo “predicava”: ma solo con la vita, dal momento che la parola era piuttosto difettosa in lui. Scrive sant’Antonio nei suoi Sermoni: «Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere»[2] .

Ebbene, padre Leopoldo “predicava” con la sua vita: tutti potevano comprendere e apprezzare la sua “predica”, gli umili e i potenti, gli istruiti e gli incolti, che senza distinzione lo cercavano.corpo di san leopoldo

Ma è nel ministero delle confessioni che riscontriamo la convergenza e l’affinità più evidenti tra i nostri due santi: di san Leopoldo si conosce bene il suo eroico rimanere per gran parte della giornata nella piccola cella ad attendere i penitenti, imitando l’esempio di sant’Antonio. Il Dottore evangelico, infatti, oltre ad aver parlato e scritto con tanta abbondanza sul sacramento della confessione, non si risparmiò nell’esercizio di questo ministero che gli era particolarmente caro. Attesta il suo primo biografo: «Reca certo meraviglia che (Antonio), afflitto com’era… e travagliato da continua infermità, tuttavia, per lo zelo instancabile delle anime, egli perseverasse nel predicare, nell’insegnare e nell’ascoltare le confessioni fino al tramonto del sole, e molto spesso digiuno”[3] .

E ancora, con riferimento alla grande Quaresima predicata dal Santo a Padova pochi mesi prima della morte: «Non posso passare sotto silenzio come egli induceva a confessare i peccati una moltitudine così grande di uomini e donne, da non essere bastanti a udirli né i frati, né altri sacerdoti, che in non piccola schiera lo accompagnavano»[4] .

Penso che occorre sempre interrogarsi “perché” Dio, Padre misericordioso, abbia inviato alla nostra città due santi così, giunti a Padova da oriente e da occidente, lasciandoci anche dei segni che è necessario rileggere continuamente e interpretare.

Di sant’Antonio è stata preservata dalla corruzione la sua «Lingua benedetta, che sempre ha benedetto il Signore e lo ha fatto benedire dagli altri» (san Bonaventura)[5] . Di san Leopoldo è stata risparmiata (come egli stesso aveva predetto) dalla furia distruttiva delle bombe la sua Cella- confessionale, dove il perdono e la misericordia di Dio hanno compiuto autentici prodigi.

Allora proviamo ad immaginare il caro padre Leopoldo, piccolo, raccolto in preghiera, umile e fragile, entrare in questa basilica, sostare davanti alla Madonna del pilastro e salutare con affetto la sua “Padrona benedetta”, come egli chiamava Maria Santissima; “Padrona” da intendere come “Signora”. Anche qui possiamo riscontrare un’affinità con sant’Antonio. Il nostro Santo nutriva un’intensa devozione verso la “Gloriosa Domina”, la Signora gloriosa, alla quale rivolse la sua ultima preghiera prima di lasciare questo mondo.

Padre Leopoldo veniva a confessare i frati del Santo ogni settimana, come confessore ordinario dal 1938, designato nel capitolo conventuale del 20 giugno di quell’anno. Ma già da prima egli veniva nella nostra comunità, sia per confessare i novizi, in particolare prima della professione, sia per celebrare la S. Messa il 15 novembre di ogni anno, festa del suo patrono san Leopoldo re, detto «il Pio» (1073-1136), patrono d’Austria, nella cappella austro-ungarica a lui dedicata, che gli era particolarmente cara, perché vi trovava raffigurati i santi del “suo” Oriente, come Cirillo e Metodio, Girolamo, Elisabetta d’Ungheria e altri. Di questa cappella padre Leopoldo teneva una riproduzione fotografica nella sua cella, come si può vedere ancor oggi nella ricostruzione con gli arredi originali presso il suo santuario.

Finché gli è stato possibile, egli raggiungeva la basilica del Santo a piedi, in seguito i frati lo mandavano a prendere con una macchina.

san Leopoldo processione dal SantoDopo aver salutato la sua “Padrona”, padre Leopoldo passava alla Tomba del Santo. Sull’altare si conservava anche il SS. Sacramento. Qui si fermava in preghiera un certo tempo, prima di salire alla cappella interna per ascoltare le confessioni dei frati. Terminate le confessioni, ritornava all’Arca di sant’Antonio per un’ultima preghiera prima di far ritorno al suo convento.

Con il Santo aveva un legale speciale, oltre che una devozione particolare: erano entrambi “esperti” nel sacramento della Penitenza e la sintonia tra di loro, lo possiamo tranquillamente immaginare, era spontanea. Come scrive il suo biografo padre Pietro Bernardi da Valdiporro, padre Leopoldo, da ottimo francescano qual’era, aveva una grande devozione verso il serafico padre san Francesco e venerava i santi francescani che l’avevano preceduto nello stesso spirito, “con una certa preferenza per sant’Antonio, al quale mandava talvolta i suoi penitenti bisognosi di conforto e di aiuto celesti”. Un teste depose al processo di canonizzazione: “Egli mi mandò al Santo e mi disse di pregare in questo modo sant’Antonio: «Caro sant’Antonio, è un tuo confratello che mi manda, pensaci tu»”[6] .

Fra Luciano Forese (1912-2003), di felice memoria, che ha servito sant’Antonio e la sua basilica per oltre mezzo secolo, dal suo osservatorio privilegiato che era la sacrestia, annotava tutti i particolari e ha fatto sì che si conservassero fino ai nostri giorni il calice, il camice e la pianeta che padre Leopoldo utilizzava per la celebrazione della S. Messa. Nelle sue note, fra Luciano ha lasciato scritto che san Leopoldo era molto devoto di sant’Antonio e spesso mandava i suoi penitenti a pregare nella sua basilica. Egli stesso si fermava a pregare all’Arca del Santo e specialmente davanti alla Madonna del pilastro[7] .

La passione ecumenica che ha sempre accompagnato l’esistenza di padre Leopoldo, espressa per iscritto in forma di voto, di impegno, di offerta su fogli, agende, immagini sacre, ha lasciato traccia anche nel convento del Santo:

Dai Padri Minori Conventuali
10 gennaio 1940
Lo scopo della mia vita sarà servire a questa divina promessa divina: Vi sarà un solo ovile e un solo Pastore.
F. Leopoldo. Ore 12.00  [8]

 

La notizia della sua morte, avvenuta il 30 luglio 1942, colpì anche la comunità del Santo. Nella cronaca del convento, troviamo scritto: «La comunità apprende con vivo dolore l’annunzio della morte del P. Leopoldo, Cappuccino. Dati i vincoli spirituali che lo legavano a questa comunità, dove per tanti anni è stato confessore, oltre alla celebrazione di tre SS. Messe, in suffragio della sua anima, indette dal M. R. P. Rettore, la comunità è largamente rappresentata ai funerali»[9] .

Come è noto, i funerali di padre Leopoldo furono celebrati nella chiesa di S. Maria dei Servi, presieduti dal Ministro provinciale dei Cappuccini padre Girolamo Bortignon da Fellette, il futuro vescovo di Belluno-Feltre e poi di Padova.

Il trigesimo venne celebrato invece nella basilica del Santo, il 31 agosto 1942, “per espresso desiderio dell’Autorità ecclesiastica e per dare maggior comodità ai numerosi fedeli”, riporta la cronaca conventuale, che continua: “la cerimonia più che un rito funebre ha assunto le proporzioni di un vero trionfo. Fra gli intervenuti, oltre alla comunità al completo, si nota S. E. il Vescovo diocesano (mons. Carlo Agostini) con numerosi sacerdoti e rappresentanze di vari Ordini ed Istituti religiosi, rappresentanti della Veneranda Arca e delle Autorità civili. Presiede la celebrazione il [P. Clemente Vicentini da S. Maria in Punta], Segretario provinciale e I Definitore dei Minori Cappuccini. La Cappella Musicale Antoniana esegue la Messa funebre a 4 v. d. di Oreste Ravanello, mentre il prof. mons. Giuseppe Andreotti, [docente all’Università di Padova e penitente di padre Leopoldo] tesse l’elogio funebre”[10] . Riprendo alcune battute di mons. Andreotti: «Sono trascorsi ormai 30 giorni, da quando, commossa, unanime, imponente, da mille e mille petti si sprigionò una voce: “È morto un santo!”. E quei petti vibrano ancor oggi di commozione e riconoscenza: né le vibrazioni cesseranno tanto facilmente: lo dice e lo promette la folla immensa accorsa oggi in questa basilica per tributare ancora una volta l’omaggio del suo affetto al suo padre»[11].

E ancora: “La storia religiosa dimostra come Dio aborrisca l’umana grandezza, lo sfarzo, la potenza mondana, e si diletti invece dell’umiltà, sull’umiltà riversi l’abbondanza dei suoi doni, e l’umiltà scelga a fondamento dei suoi grandiosi edifici, a strumento dei suoi imperscrutabili disegni! Oggi noi commemoriamo un nome che è una delle migliori prove di questa economia divina; nome che rimase per qualche tempo tutto oscurità, tutto silenzio, e fu sempre tutto umiltà. Se l’umiltà avesse dovuto pigliare forma umana, e apparire tra gli uomini, assai bene sarebbe stata raffigurata in padre Leopoldo”[12] .

In questa rievocazione non possono mancare le testimonianze di due nostri illustri religiosi, provenienti da quella stessa sponda levantina dell’Adriatico che diede i natali a san Leopoldo, di cui furono penitenti. Il primo è il padre Alfonso Orlini (1887-1972), nativo di Cherso, dapprima provinciale per pochi mesi, dall’aprile al giugno 1924, e poi generale del nostro Ordine all’età di 37 anni. Personalità dalle spiccate doti di intelligenza ed organizzative, tempra notevolissima di predicatore e oratore, ci ha lasciato una memoria scritta su padre Leopoldo, a un anno dalla sua morte, datata 15 agosto 1943. Scrive padre Orlini:

Conobbi il Rev. Padre Leopoldo da Castelnuovo per oltre trent’anni, rimasto con lui in assai stretto rapporto come a direttore della mia coscienza.
Quand’ero a Padova durante la grande guerra e per altri dieci anni più tardi lo avvicinavo tutte le settimane, ed anche nei periodi della mia permanenza a Venezia e a Roma, ogni volta che mi era possibile, e cioè frequentemente, mi recavo da lui per averne i preziosi consigli.
Spesso i nostri colloqui si prolungavano anche fuori della confessione entrando in questioni teologiche e sociali, e a volte in confidenze reciproche di ministero che per me diventavano di grande interesse e mi rivelavano la rara sapienza del Padre.
Di una cosa mi sono convinto fermamente, e cioè che il venerato Padre viveva costantemente alla presenza di Dio, e qualunque cosa trattasse, il suo pensiero correva a quegli alti principii che sono propri di chi vede tutto nella luce di Dio. Di qui certamente veniva a lui un dono particolare che, pur non essendo oratore e per giunta difettoso nella pronunzia, facilmente s’infiammava e parlava con scorrevolezza delle cose divine e difendeva animatamente gli interessi della S. Chiesa. E soprattutto l’unione con Dio gli infondeva quella mirabile carità verso le anime per le quali accettava ogni sacrificio e che ha fatto di lui l’Apostolo di Padova per molti decenni, avvicinato da tutte le classi sociali.
Quando nel mio apostolato che svolsi soprattutto negli ambienti culturali, mi accorgevo che un convertito aveva qualche ripugnanza a fare la confessione da me, o perché legato da amicizia o perché già mio collega di studio, lo rimettevo al P. Leopoldo. Mi accorgevo allora come il santo Cappuccino riusciva ad avvicinare quelle anime, pur tanto esigenti, e supplire a mie precedenti deficienze. Perciò, pur ammirando e benedicendo Dio, non mi sono mai meravigliato del fascino ch’egli ha sempre esercitato proprio sulle anime più difficili ad essere indirizzate alla perfezione.
A me come a molti altri, faceva sempre grande impressione la sua modestia nel tratto e nelle parole e il suo altissimo spirito di mortificazione. Ricordo che rimanendo spesso da noi a mensa, tutti restavano ammirati dello scarso cibo ch’egli prendeva e con quant’arte sapeva destreggiarsi contro le altrui insistenze pretestando vaghi motivi di salute.
Rigidissimo con se stesso usava grande larghezza con altri. Io stesso fui da lui trattenuto da atti e pratiche che poi mi resi conto che mi avrebbero nociuto anziché giovato spiritualmente. Ammiravo perciò in lui il dono della discrezione.
Spesso mi presentò dei casi di coscienza molto complessi, a volte con riferimento al S. Uffizio, espressi da lui in forma generica, anzi teorica, ma che io giudicavo realmente accaduti proprio a lui nell’esercizio del Sacro Ministero. A volte gli chiedevo il tempo necessario per rispondere. Ma, per la verità, devo dire che la soluzione egli l’aveva sempre già data, e nella maniera la più soddisfacente.
Mi meravigliava il fatto come, assorbito tutto il giorno nel ministero, egli avesse la possibilità di tenersi al corrente di questioni controverse, non solo teologiche ma anche filosofiche, facendo rilievi interessanti ed esprimendo giudizi assai precisi.
Tra me e me mi chiesi spesso se il Padre non avesse anche il dono della scienza infusa.
Certamente egli penetrava nei cuori. Io mi sentii fare riferimenti ad atti e fasi della mia vita ch’egli non poteva umanamente conoscere. Quando fui eletto Provinciale della Veneta egli sorridendo mi disse che questo avrebbe durato poco e che sarei stato scelto a Generale dell’Ordine. Allora non feci caso a quelle parole che mi sembrarono un semplice atto di cortesia. Ma non passarono che due mesi ed io ero già eletto Generale. Penso che si tratti di una vera e propria profezia.
Con la più viva riconoscenza io ricordo il conforto che ebbi sempre da lui nelle frequenti tribolazioni che non mi furono risparmiate dalla sapienza amorosa di Dio. A distanza di oltre un anno dalla sua morte risento ancora più la di lui protezione e molte cose egli mi aveva preannunziate mi sembrano ricevere giorno per giorno mirabile adempimento.
Possa il Signore glorificare il Suo servo fedele anche al cospetto degli uomini!
Quanto più sopra ho scritto risponde in tutto a verità e, all’occorrenza, son disposto a confermarlo con giuramento.
Roma, 15, agosto, festa della Assunzione di Maria SS., 1943 [13]

 

La seconda testimonianza è di un altro frate chersino, il Servo di Dio padre Placido Cortese (1907-1944), di venerata memoria, che nell’ottobre-novembre 1944 consumò il suo “martirio” di carità a seguito san leopoldo processionedelle atroci torture subite nel bunker della Gestapo a Trieste. Aveva 37 anni. Nel 1942 padre Cortese era ancora direttore del Messaggero di sant’Antonio, sul quale pubblicò, nel numero di settembre, un bel editoriale intitolato “Intorno al Padre Leopoldo”. Così si espresse padre Placido:

La notizia che Padre Leopoldo, l’umile e santo Cappuccino di S. Croce, s’è spento placidamente la mattina del 30 luglio, ha destato non solo in città ma anche fuori vasta eco di cordoglio perché la fama di questo piccolo uomo è da molti anni un fatto largamente accertato.
E non è solo la buona, povera gente che cercava o trovava in lui il consolatore, ma anche i dotti e i fortunati nel possesso di beni terreni volevano sentire la sua parola che era sempre richiamo all’amore dei beni eterni.
Abbiamo detto piccolo uomo perché nulla di esteriore nella sua persona ma soltanto i segni della mortificazione esercitata in lunghi anni di vita religiosa esemplarmente vissuta. Ma in quel po’ di corpo c’era un cuore grande e un’anima bellissima. Bastava avvicinarlo una sola volta e vi si ritornava ancora perché egli aveva il dono di parlarci di Dio e di richiamarci al bene. Autentico francescano, egli aveva compreso il programma del «serafico in ardore» ardendo per le anime nella costante e paziente ricerca della loro salvezza eterna. Il bene che egli fece non è facile conoscerlo perché fatto in umiltà, in una piccola celluzza, ma ci fu rilevato nell’andare e venire di popolo alla sua bara, nella preghiera raccolta e devota davanti alla sua salma.
È così bella e simpatica questa testimonianza al Padre Leopoldo che nulla ebbe dagli uomini in vita, che nulla voleva da essi, ma solo donava tesori di carità e sapienza.
Questo piccolo dalmata dagli occhi vivi e penetranti, che rivelavano un’intelligenza superiore, non è più ma resterà ancora e a lungo sulla terra nel ricordo di tante anime che lo ebbero padre e maestro.
Lo abbiamo ricordato in queste pagine non solo perché fu per alcuni anni confessore ordinario del convento ma anche perché egli amava il Santo e nostro e suo confratello. Ogni anno poi, nella festa di S. Leopoldo, veniva a celebrare in Basilica. P. Cortese [14]

 

Leggendo queste righe, mi sono chiesto se padre Leopoldo, che scrutava i cuori e aveva il dono della profezia, non avesse intuito quale fuoco di carità ardeva nel cuore di padre Placido Cortese e quale sarebbe stato il suo “destino”…

Sotto le cupole del Santo si udì anche la voce autorevole di San Giovanni Paolo II, che nel corso della sua visita pastorale a Padova, celebrando l’Eucaristia in basilica la domenica 12 settembre 1982, volle ricordare così il beato Leopoldo, che egli avrebbe canonizzato l’anno seguente:

Nella luce di Antonio ministro del sacramento della Penitenza, come non ricordare in questa città di Padova un altro religioso della famiglia francescana, il beato Leopoldo Mandić da Castelnuovo, l’umile e silenzioso cappuccino che, nella riservatezza della sua cella del convento di Santa Croce, fu per decenni ministro della confessione, infondendo col sacramento del perdono pace e serenità a innumerevoli persone di ogni età e condizione?

Sant’Antonio e san Leopoldo resteranno ormai per sempre legati a Padova, per un imperscrutabile disegno divino che li ha donati alla nostra città. Nel 1923 il vescovo Elia Dalla Costa, da poco arrivato a Padova (nel 1931 promosso alla sede arcivescovile di Firenze, creato cardinale da Pio XI nel 1933, ora Servo di Dio), scrisse al Ministro provinciale dei Cappuccini perorando il ritorno a Padova di padre Leopoldo da Fiume, dove era stato da poco trasferito. Il Provinciale, padre Odorico da Pordenone, che era anche il direttore spirituale di padre Leopoldo, prese carta e penna e così gli scrisse:

«Il Signore le domanda ancora un sacrificio… Lei è desiderato a Padova. Nulla di nuovo in ciò; anche sant’Antonio voleva predicare agli infedeli per essere martire e il vento del Signore portò ai nostri lidi la sua nave… Si vede che il Santo la vuole vicino a sé; accetti dunque la volontà del Signore e ritorni al suo nido»[15] .

In questa felice circostanza, li vediamo ancora una volta vicini, i nostri Santi Antonio e Leopoldo, a risplendere come stelle nel cielo sopra la nostra città, per il bene di tutti.

fra Giorgio Laggioni OFM Conv.


[1] Espressione usata da Papa Paolo VI nell’omelia per la beatificazione di padre Leopoldo, 2 maggio 1976.

[2] S. Antonii Patavini, O. Min. Doctoris Evangelici, Sermones dominicales et festivi ad fidem codicum recogniti, I, Dominica Pentecostes 16, Patavii 1979.

[3] Vergilio Gamboso (a cura), Fonti agiografiche antoniane, Vita prima di S. Antonio o «Assidua» (c. 1232), 11.6, Padova 1981.

[4] Ibidem, 11.13.

[5] Cf. Vergilio Gamboso (a cura), Fonti agiografiche antoniane, Legenda «Benignitas», 21,1-8, Padova 1986.

[6] Cf. Pietro E. Bernardi, Leopoldo Mandić, Santo della Riconciliazione e dell’ecumenismo spirituale, XI ed., Padova 2002.

[7] Archivio prov. Provincia Italiana di S. Antonio di Padova OFM Conv., cartella fra Luciano Forese.

[8] Cf. R. Battel-G. Lazzara (a cura), Dall’intimo del mio povero cuore, Lettere e altri scritti di san Leopoldo Mandić, II ed., Padova 2015.

[9] cf. Cronaca del Convento del Santo, in «Bollettino della Provincia Patavina di S. Antonio OFM Conv.», XII, 4 (Luglio-Settembre 1942), pp. 205-206.

[10] Ibidem, pag. 206.

[11] Cf. Fulvio Rampazzo (a cura), Veneratissimo Padre!, Voci autorevoli su s. Leopoldo Mandić, Padova 2000.

[12] Ibidem.

[13] Archivio Curia generalizia OFM Conv., Roma, Cartella p. Alfonso Orlini, dattiloscritto.

[14] Messaggero di sant’Antonio, Settembre 1942.

[15] Cf. Flaviano Giovanni Gusella, Quella santa follia, Leopoldo Mandić e la vocazione ecumenica, in «L’Osservatore Romano», CLVI, 31, lunedì-martedì 8-9 febbraio 2016, pag.7.

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