San Leopoldo Mandić e i suoi legami con la basilica e i frati del Santo
La storia plurisecolare della basilica di sant’Antonio ci ha trasmesso la memoria di decine e decine (oltre un centinaio), tra santi e beati, che l’hanno visitata. L’elenco di questi illustri pellegrini deve essere continuamente aggiornato, man mano che la Chiesa li eleva agli onori degli altari, a sottolineare il fascino che sant’Antonio (1195-1231) ha sempre esercitato particolarmente sulle anime elette, in ogni epoca. San Leopoldo (1866-1942) occupa un posto di rilievo in questo elenco, non solo per le innumerevoli visite da lui compiute alla tomba del Santo – e già questo è un dato unico ed eccezionale – ma anche per le singolari convergenze e affinità con la vita di sant’Antonio: due mirabili frutti del rigoglioso albero francescano donati a questa città, entrambi provenienti da altrove, da fuori: Antonio dall’estremo lembo occidentale dell’Europa, Leopoldo dalla «sponda levantina dell’Adriatico»[1] ; tutti e due con un “sogno”, un progetto, da realizzare: la missione tra gli infedeli e il desiderio del martirio per Antonio da Lisbona; l’apostolato per l’unità dei cristiani, nelle terre a lui care, per Leopoldo da Castelnuovo. Ma l’obbedienza, attraverso la quale si manifesta la Provvidenza divina, li porta qui da noi, ad essere ministri della Parola e della Misericordia del Padre.
Sant’Antonio e san Leopoldo, giunti a Padova, predicano e confessano. Anche padre Leopoldo “predicava”: ma solo con la vita, dal momento che la parola era piuttosto difettosa in lui. Scrive sant’Antonio nei suoi Sermoni: «Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere»[2] .
Ebbene, padre Leopoldo “predicava” con la sua vita: tutti potevano comprendere e apprezzare la sua “predica”, gli umili e i potenti, gli istruiti e gli incolti, che senza distinzione lo cercavano.
Ma è nel ministero delle confessioni che riscontriamo la convergenza e l’affinità più evidenti tra i nostri due santi: di san Leopoldo si conosce bene il suo eroico rimanere per gran parte della giornata nella piccola cella ad attendere i penitenti, imitando l’esempio di sant’Antonio. Il Dottore evangelico, infatti, oltre ad aver parlato e scritto con tanta abbondanza sul sacramento della confessione, non si risparmiò nell’esercizio di questo ministero che gli era particolarmente caro. Attesta il suo primo biografo: «Reca certo meraviglia che (Antonio), afflitto com’era… e travagliato da continua infermità, tuttavia, per lo zelo instancabile delle anime, egli perseverasse nel predicare, nell’insegnare e nell’ascoltare le confessioni fino al tramonto del sole, e molto spesso digiuno”[3] .
E ancora, con riferimento alla grande Quaresima predicata dal Santo a Padova pochi mesi prima della morte: «Non posso passare sotto silenzio come egli induceva a confessare i peccati una moltitudine così grande di uomini e donne, da non essere bastanti a udirli né i frati, né altri sacerdoti, che in non piccola schiera lo accompagnavano»[4] .
Penso che occorre sempre interrogarsi “perché” Dio, Padre misericordioso, abbia inviato alla nostra città due santi così, giunti a Padova da oriente e da occidente, lasciandoci anche dei segni che è necessario rileggere continuamente e interpretare.
Di sant’Antonio è stata preservata dalla corruzione la sua «Lingua benedetta, che sempre ha benedetto il Signore e lo ha fatto benedire dagli altri» (san Bonaventura)[5] . Di san Leopoldo è stata risparmiata (come egli stesso aveva predetto) dalla furia distruttiva delle bombe la sua Cella- confessionale, dove il perdono e la misericordia di Dio hanno compiuto autentici prodigi.
Allora proviamo ad immaginare il caro padre Leopoldo, piccolo, raccolto in preghiera, umile e fragile, entrare in questa basilica, sostare davanti alla Madonna del pilastro e salutare con affetto la sua “Padrona benedetta”, come egli chiamava Maria Santissima; “Padrona” da intendere come “Signora”. Anche qui possiamo riscontrare un’affinità con sant’Antonio. Il nostro Santo nutriva un’intensa devozione verso la “Gloriosa Domina”, la Signora gloriosa, alla quale rivolse la sua ultima preghiera prima di lasciare questo mondo.
Padre Leopoldo veniva a confessare i frati del Santo ogni settimana, come confessore ordinario dal 1938, designato nel capitolo conventuale del 20 giugno di quell’anno. Ma già da prima egli veniva nella nostra comunità, sia per confessare i novizi, in particolare prima della professione, sia per celebrare la S. Messa il 15 novembre di ogni anno, festa del suo patrono san Leopoldo re, detto «il Pio» (1073-1136), patrono d’Austria, nella cappella austro-ungarica a lui dedicata, che gli era particolarmente cara, perché vi trovava raffigurati i santi del “suo” Oriente, come Cirillo e Metodio, Girolamo, Elisabetta d’Ungheria e altri. Di questa cappella padre Leopoldo teneva una riproduzione fotografica nella sua cella, come si può vedere ancor oggi nella ricostruzione con gli arredi originali presso il suo santuario.
Finché gli è stato possibile, egli raggiungeva la basilica del Santo a piedi, in seguito i frati lo mandavano a prendere con una macchina.
Dopo aver salutato la sua “Padrona”, padre Leopoldo passava alla Tomba del Santo. Sull’altare si conservava anche il SS. Sacramento. Qui si fermava in preghiera un certo tempo, prima di salire alla cappella interna per ascoltare le confessioni dei frati. Terminate le confessioni, ritornava all’Arca di sant’Antonio per un’ultima preghiera prima di far ritorno al suo convento.
Con il Santo aveva un legale speciale, oltre che una devozione particolare: erano entrambi “esperti” nel sacramento della Penitenza e la sintonia tra di loro, lo possiamo tranquillamente immaginare, era spontanea. Come scrive il suo biografo padre Pietro Bernardi da Valdiporro, padre Leopoldo, da ottimo francescano qual’era, aveva una grande devozione verso il serafico padre san Francesco e venerava i santi francescani che l’avevano preceduto nello stesso spirito, “con una certa preferenza per sant’Antonio, al quale mandava talvolta i suoi penitenti bisognosi di conforto e di aiuto celesti”. Un teste depose al processo di canonizzazione: “Egli mi mandò al Santo e mi disse di pregare in questo modo sant’Antonio: «Caro sant’Antonio, è un tuo confratello che mi manda, pensaci tu»”[6] .
Fra Luciano Forese (1912-2003), di felice memoria, che ha servito sant’Antonio e la sua basilica per oltre mezzo secolo, dal suo osservatorio privilegiato che era la sacrestia, annotava tutti i particolari e ha fatto sì che si conservassero fino ai nostri giorni il calice, il camice e la pianeta che padre Leopoldo utilizzava per la celebrazione della S. Messa. Nelle sue note, fra Luciano ha lasciato scritto che san Leopoldo era molto devoto di sant’Antonio e spesso mandava i suoi penitenti a pregare nella sua basilica. Egli stesso si fermava a pregare all’Arca del Santo e specialmente davanti alla Madonna del pilastro[7] .
La passione ecumenica che ha sempre accompagnato l’esistenza di padre Leopoldo, espressa per iscritto in forma di voto, di impegno, di offerta su fogli, agende, immagini sacre, ha lasciato traccia anche nel convento del Santo:
La notizia della sua morte, avvenuta il 30 luglio 1942, colpì anche la comunità del Santo. Nella cronaca del convento, troviamo scritto: «La comunità apprende con vivo dolore l’annunzio della morte del P. Leopoldo, Cappuccino. Dati i vincoli spirituali che lo legavano a questa comunità, dove per tanti anni è stato confessore, oltre alla celebrazione di tre SS. Messe, in suffragio della sua anima, indette dal M. R. P. Rettore, la comunità è largamente rappresentata ai funerali»[9] .
Come è noto, i funerali di padre Leopoldo furono celebrati nella chiesa di S. Maria dei Servi, presieduti dal Ministro provinciale dei Cappuccini padre Girolamo Bortignon da Fellette, il futuro vescovo di Belluno-Feltre e poi di Padova.
Il trigesimo venne celebrato invece nella basilica del Santo, il 31 agosto 1942, “per espresso desiderio dell’Autorità ecclesiastica e per dare maggior comodità ai numerosi fedeli”, riporta la cronaca conventuale, che continua: “la cerimonia più che un rito funebre ha assunto le proporzioni di un vero trionfo. Fra gli intervenuti, oltre alla comunità al completo, si nota S. E. il Vescovo diocesano (mons. Carlo Agostini) con numerosi sacerdoti e rappresentanze di vari Ordini ed Istituti religiosi, rappresentanti della Veneranda Arca e delle Autorità civili. Presiede la celebrazione il [P. Clemente Vicentini da S. Maria in Punta], Segretario provinciale e I Definitore dei Minori Cappuccini. La Cappella Musicale Antoniana esegue la Messa funebre a 4 v. d. di Oreste Ravanello, mentre il prof. mons. Giuseppe Andreotti, [docente all’Università di Padova e penitente di padre Leopoldo] tesse l’elogio funebre”[10] . Riprendo alcune battute di mons. Andreotti: «Sono trascorsi ormai 30 giorni, da quando, commossa, unanime, imponente, da mille e mille petti si sprigionò una voce: “È morto un santo!”. E quei petti vibrano ancor oggi di commozione e riconoscenza: né le vibrazioni cesseranno tanto facilmente: lo dice e lo promette la folla immensa accorsa oggi in questa basilica per tributare ancora una volta l’omaggio del suo affetto al suo padre»[11].
E ancora: “La storia religiosa dimostra come Dio aborrisca l’umana grandezza, lo sfarzo, la potenza mondana, e si diletti invece dell’umiltà, sull’umiltà riversi l’abbondanza dei suoi doni, e l’umiltà scelga a fondamento dei suoi grandiosi edifici, a strumento dei suoi imperscrutabili disegni! Oggi noi commemoriamo un nome che è una delle migliori prove di questa economia divina; nome che rimase per qualche tempo tutto oscurità, tutto silenzio, e fu sempre tutto umiltà. Se l’umiltà avesse dovuto pigliare forma umana, e apparire tra gli uomini, assai bene sarebbe stata raffigurata in padre Leopoldo”[12] .
In questa rievocazione non possono mancare le testimonianze di due nostri illustri religiosi, provenienti da quella stessa sponda levantina dell’Adriatico che diede i natali a san Leopoldo, di cui furono penitenti. Il primo è il padre Alfonso Orlini (1887-1972), nativo di Cherso, dapprima provinciale per pochi mesi, dall’aprile al giugno 1924, e poi generale del nostro Ordine all’età di 37 anni. Personalità dalle spiccate doti di intelligenza ed organizzative, tempra notevolissima di predicatore e oratore, ci ha lasciato una memoria scritta su padre Leopoldo, a un anno dalla sua morte, datata 15 agosto 1943. Scrive padre Orlini:
La seconda testimonianza è di un altro frate chersino, il Servo di Dio padre Placido Cortese (1907-1944), di venerata memoria, che nell’ottobre-novembre 1944 consumò il suo “martirio” di carità a seguito delle atroci torture subite nel bunker della Gestapo a Trieste. Aveva 37 anni. Nel 1942 padre Cortese era ancora direttore del Messaggero di sant’Antonio, sul quale pubblicò, nel numero di settembre, un bel editoriale intitolato “Intorno al Padre Leopoldo”. Così si espresse padre Placido:
Leggendo queste righe, mi sono chiesto se padre Leopoldo, che scrutava i cuori e aveva il dono della profezia, non avesse intuito quale fuoco di carità ardeva nel cuore di padre Placido Cortese e quale sarebbe stato il suo “destino”…
Sotto le cupole del Santo si udì anche la voce autorevole di San Giovanni Paolo II, che nel corso della sua visita pastorale a Padova, celebrando l’Eucaristia in basilica la domenica 12 settembre 1982, volle ricordare così il beato Leopoldo, che egli avrebbe canonizzato l’anno seguente: Sant’Antonio e san Leopoldo resteranno ormai per sempre legati a Padova, per un imperscrutabile disegno divino che li ha donati alla nostra città. Nel 1923 il vescovo Elia Dalla Costa, da poco arrivato a Padova (nel 1931 promosso alla sede arcivescovile di Firenze, creato cardinale da Pio XI nel 1933, ora Servo di Dio), scrisse al Ministro provinciale dei Cappuccini perorando il ritorno a Padova di padre Leopoldo da Fiume, dove era stato da poco trasferito. Il Provinciale, padre Odorico da Pordenone, che era anche il direttore spirituale di padre Leopoldo, prese carta e penna e così gli scrisse:
In questa felice circostanza, li vediamo ancora una volta vicini, i nostri Santi Antonio e Leopoldo, a risplendere come stelle nel cielo sopra la nostra città, per il bene di tutti.
fra Giorgio Laggioni OFM Conv.
[1] Espressione usata da Papa Paolo VI nell’omelia per la beatificazione di padre Leopoldo, 2 maggio 1976.
[2] S. Antonii Patavini, O. Min. Doctoris Evangelici, Sermones dominicales et festivi ad fidem codicum recogniti, I, Dominica Pentecostes 16, Patavii 1979.
[3] Vergilio Gamboso (a cura), Fonti agiografiche antoniane, Vita prima di S. Antonio o «Assidua» (c. 1232), 11.6, Padova 1981.
[4] Ibidem, 11.13.
[5] Cf. Vergilio Gamboso (a cura), Fonti agiografiche antoniane, Legenda «Benignitas», 21,1-8, Padova 1986.
[6] Cf. Pietro E. Bernardi, Leopoldo Mandić, Santo della Riconciliazione e dell’ecumenismo spirituale, XI ed., Padova 2002.
[7] Archivio prov. Provincia Italiana di S. Antonio di Padova OFM Conv., cartella fra Luciano Forese.
[8] Cf. R. Battel-G. Lazzara (a cura), Dall’intimo del mio povero cuore, Lettere e altri scritti di san Leopoldo Mandić, II ed., Padova 2015.
[9] cf. Cronaca del Convento del Santo, in «Bollettino della Provincia Patavina di S. Antonio OFM Conv.», XII, 4 (Luglio-Settembre 1942), pp. 205-206.
[10] Ibidem, pag. 206.
[11] Cf. Fulvio Rampazzo (a cura), Veneratissimo Padre!, Voci autorevoli su s. Leopoldo Mandić, Padova 2000.
[12] Ibidem.
[13] Archivio Curia generalizia OFM Conv., Roma, Cartella p. Alfonso Orlini, dattiloscritto.
[14] Messaggero di sant’Antonio, Settembre 1942.
[15] Cf. Flaviano Giovanni Gusella, Quella santa follia, Leopoldo Mandić e la vocazione ecumenica, in «L’Osservatore Romano», CLVI, 31, lunedì-martedì 8-9 febbraio 2016, pag.7.