Domenica 15 novembre 2015, alla Basilica di Sant'Antonio a Padova, il Ministro Provinciale p. Giovanni Voltan ha celebrato la messa nel 71° anniversario della morte del Servo di Dio padre Placido Cortese, ucciso sotto tortura dai Nazisti per la sua opera di aiuto ai perseguitati, agli ebrei e agli altri prigionieri per motivi politici e razziali.
Riportiamo l'omelia nella Santa Messa delle 11, tenuta dal padre Provinciale:
Mi hanno accompagnato in questi giorni due semplici parole latine a motivo di una felice concomitanza. Le parole sono Ecce homo, Ecco l’uomo. La frase è di Pilato che presenta Gesù, con le mani legate, spogliato, sanguinante alla folla in quel processo farsa in cui egli tenta goffamente di salvargli la vita. Nell’iconografia, nell’arte in genere, abbiamo molte rappresentazioni commoventi dell’Ecce homo. Pilato additando così Gesù, Ecce homo, non sa di dire qualcosa di grande, una verità preziosa che lo supera: sì, Gesù è l’Uomo, quell’Uomo che ha preso su di sé l’ingiustizia, il dolore, che è umiliato e sembra perdente.
Martedì scorso, parlando alla Chiesa italiana riunita nel Convegno ecclesiale di Firenze, Papa Francesco ha indicato proprio Gesù e l’Umanesimo cristiano (tema del Convegno) proprio nell’Ecce homo che campeggiava sulla cupola della cattedrale nella scena del giudizio universale. Guardando Lui chi vediamo? “Il volto di un Dio svuotato, che ha assunto la condizione di servo, umiliato, obbediente fino alla morte. Ed è il volto di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. In Gesù Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. L’umanesimo cristiano non è teoria, ma la bontà di questo Dio che in Gesù, vultus misericordiae, s’è svuotato per noi”.
Mentre leggevo queste parole di Papa Francesco, mi trovavo in Spagna, ad Avila, patria della grande Teresa di Gesù (a 500 anni dalla nascita) per un incontro di provinciali d’alcune parti d’Europa. Approfondendo la vita della santa mi colpì che ebbe la seconda conversione, quando, venti anni dopo il suo ingresso nel Carmelo, nella chiesa del monastero s’imbatté in una statua raffigurante l’Ecce homo, portata là in un’occasione di una ricorrenza liturgica. La visione di quel Gesù sofferente, tutto insanguinato eppure mite (anche l’arte, le immagini possono aiutarci!) fu tale da convertire la monaca Teresa ad una vita più fervorosa, più coraggiosa, più audace, più santa!
Anche p. Placido Cortese che oggi ricordiamo nel 71.mo anniversario del suo martirio, era un buon frate di questo convento del Santo, anzi un ottimo religioso, con belle qualità (come l’essere innovatore direttore del “Messaggero di S. Antonio”, ricercato confessore,…), finché un giorno ebbe anch’egli la visita dell’Ecce homo, del Cristo sofferente che bussava al suo confessionale: al campo di concentramento di Chiesanuova, alle porte di Padova, c’erano prigionieri, suoi conterranei ed anche slavi, croati, ebrei che erano là il Suo volto percosso ed umiliato. E p. Placido, dopo aver pregato, con il permesso dei superiori, scelse, nel silenzio, di diventare frate in uscita verso le periferie, come direbbe Papa Francesco, decise cioè di andar verso di loro, verso di Lui, prigioniero. Questo avvenne grazie alla rete di persone care, di alcune sue penitenti che, come lui, hanno rischiato, hanno pagato di persona.
Il suo nome, insieme a quello delle sorelle Martini, è stato, a sorpresa per noi frati, citato dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, il 25 aprile scorso, nel contesto delle celebrazioni per il 70.mo della liberazione. Ecco il passaggio del Presidente: “Tanti eroi hanno donato la vita per la nostra libertà, (…) eroi quotidiani che salvarono vite, che diedero rifugio ad ebrei, che si prestarono a compiti di cura o di supporto. Come le sorelle Lidia, Liliana e Teresa Martini, padovane, che guidarono la fuga dai campi di concentramento di decine e decine di prigionieri alleati, prima dando loro il pane e un nascondiglio, poi instradandoli nottetempo verso la Svizzera, attraverso la rete costruita da padre Placido Cortese e da due latinisti di grande fama, Ezio Franceschini, dell’Università Cattolica, e Concetto Marchesi, in seguito rettore dell’Ateneo di Padova e deputato comunista. Senza questa dimensione popolare, senza questa fraterna collaborazione tra persone di idee politiche diverse, l’Italia avrebbe fatto molta più fatica a recuperare la dignità smarrita”.
In questa celebrazione abbiamo ascoltato un Vangelo impegnativo (Mc 13,24-32) che va letto con molta attenzione, perché usa il genere letterario “apocalittico” fatto di simboli e linguaggio immaginario: non va colto alla lettera. Il brano non ci racconta la fine del mondo, ma la nostra situazione: persecuzioni, guerre, calamità… cose tutte che purtroppo appartengono ad ogni epoca e non solo alla fine. Quanto successo l’altro ieri sera, 13 novembre, a Parigi, ce lo conferma con drammatica evidenza!
Non riguarda pertanto la fine del mondo il Vangelo udito, ma vuole piuttosto rispondere a una domanda bruciante: che esito avrà la lotta tra il bene e il male cui quotidianamente assistiamo? Tra Gesù e il maligno chi vincerà? E tra l’amore e la prepotenza? Molto spesso l’esperienza che facciamo sembra dirci che vince il male, il bene perde. Per valutare però la realtà in profondità e non fermarsi alle prime risposte dettate dall’ansia e dalla paura, è necessario che noi guardiamo a Gesù, all’Ecce homo, al Cristo apparentemente sconfitto, che ci ricordiamo le sue parole.
Peccato che il brano evangelico di questa domenica non abbia incluso i versetti che precedono il testo proclamato e che, in sintesi, dicono così: «sarete odiati da tutti a causa del mio nome….si solleverà nazione contro nazione…sorgeranno falsi cristi»: è una foto della situazione in cui le prime comunità cristiane sono venute a trovarsi, ma al contempo è una descrizione fedele della situazione mondiale attuale. Difronte a tutto ciò, Gesù da ai discepoli le seguenti raccomandazioni: «Non preoccupatevi, non allarmatevi…Fate attenzione…». Certo sono parole facili a dirsi, ma difficili da praticare, possibili solo se sostenuti da una grande fede che può fiorire anche nelle ore più difficili e contrarie dell’Umanità cui tutti apparteniamo.
«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno»: quest’assicurazione è il cuore del Vangelo odierno, è la consegna di Gesù, il punto fermo che solo può giustificare nel cristiano la serenità, la fedeltà, la certezza che il Signore Gesù c’è! «Sappiate che il Signore è vicino, è alle porte» - proprio quando vedrete apparire cose tanto brutte e spaventose!- e che ritornerà.
La Storia, a dispetto di quanto sembra affermare il contrario, è saldamente nelle mani dell’Ecce homo, del Signore Crocifisso e Risorto.
Nella prima lettura, la profezia di Daniele si completa con la bella immagine dei saggi che hanno condotto molti alla giustizia: ebbene, per questo saranno come stelle del firmamento, brilleranno in eterno. Questo può significare che non saranno mai dimenticati, che mai il loro nome sparirà perché ci sarà futuro grazie al loro aver difeso i fratelli a prezzo della loro fedeltà, della loro stessa vita.
Pensando a p. Placido, commuove sapere che per cinquant’anni egli è stato nell’oblio: di lui non si sapeva nulla, nessuna traccia. Ma poi, a riprova della veridicità della Parola “il giusto non sarà mai dimenticato” (Sl 111), la divina Provvidenza ha voluto che “riaffiorasse” per noi, proprio per noi (infatti egli era ben presente nel cuore di Dio), per essere per noi, secondo l’immagine evocativa di Daniele “stella del cielo”, orientamento sicuro, anche nelle notti più buie all’umanità, come per noi è quest’ora dopo i fatti del 13 novembre.
Parlando a Firenze alla Chiesa Italiana, presentando nell’Ecce homo di Gesù il modello dell’Umanesimo cristiano, il Papa ha indicato alcuni tratti del cristiano che vive i sentimenti di Gesù.
Anzitutto l’umiltà che considera gli altri superiori a sé, contro l’ossessione di preservare la propria gloria. Gloria di Dio è invece l’umiltà della grotta di Betlemme, il disonore della croce ovvero la bellezza del suo abbassarsi per noi.
Secondo tratto è il disinteresse che possiamo intendere come generosità: il cristiano non è narcisista, uno che si guarda l’ombelico, ma è in uscita verso i fratelli, verso l’incontro.
Terzo tratto è infine la beatitudine ovvero il trovare gioia nell’itinerario proposto e vissuto da Gesù nelle Beatitudini.
Umiltà, generosità, beatitudine: sono tratti che possiamo, con tanta evidenza, scorgere in p. Placido!
«Mi piace una Chiesa Italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta con il volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza». Ed è ancora lui, Papa Francesco, a ricordare che contrario del celebre detto homo homini lupus di Thomas Hobbes è proprio l’Ecce homo di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva.
Padre Placido, Servo di Dio, fratello nostro, grazie a te e agli uomini e donne che ti hanno aiutato, per aver osato l’incontro con l’Ecce homo nei volti e nelle storie ferite di tanti fratelli perseguitati, per essere diventato tu stesso quell’Ecce homo svuotato ed umiliato, -conformato a Gesù-, per salvare quanti più hai potuto. Il tuo nome non sarà mai dimenticato. Come stella del cielo brilli su noi la tua consegna perché anche noi possiamo essere oggi uomini e donne, cristiani umili e generosi, nei sentieri delle Beatitudini.
Ci ritroveremo, - troveremo finalmente noi stessi! -, e salveremo l’Umanità solo così: donandoci. E saremo per davvero cristiani, semplicemente e pienamente uomini. Saremo Gesù.